Abbiamo tutte fatto visite di controllo, pap-test, prescrizioni di pillole ma senza vivere esperienze particolarmente traumatiche, senza mai problematizzare questi incontri, normalizzando il fatto di metterci sdraiate su un lettino freddo e permettere ad un estraneo di entrare nella parte più intima del nostro corpo, che noi non conoscevamo e quindi delegavamo.
Fino al giorno in cui sono emersi dolori, perdite strane, diagnosi paurose o anche solo incontri insensibili e in qualche modo violenti. Abbiamo passato il tempo preoccupandoci, ad immaginare scenari tragici e ad entrare in ansia per ogni segnale del corpo. Come spesso succede, l’esigenza di affrontare su un piano politico determinate questioni e tematiche nasce dal vissuto personale. Molte di noi hanno scelto il tema dell’autodeterminazione dei corpi come questione e lotta politica proprio a partire da quelle che sono state le esperienze personali con la ginecologia.
Di tutte le pratiche e scoperte che si affrontano durante il percorso l’ autoesplorazione è forse quella che più di tutte fa emergere la consapevolezza che qualcosa ci è stato tolto ma la cui riappropriazione è potentissima. Confrontarsi con questa pratica significa liberarsi dalla paura. Perchè se è vero che la medicina è stata (e forse lo è ancora) il terreno di guerra moderna alle donne, lo ha potuto essere in primo luogo grazie alla costruzione di una retorica della paura. Spesso non andiamo dal ginecologo per paura, spesso usciamo da una visita con un senso di paura, spesso le informazioni che riceviamo e non comprendiamo scatenano il terrore. Questo è esattamente quello che ha spinto noi a cominciare ad interessarci alla ginecologia. Per noi, ancora prima di agire sulla riappropriazione e sull’autodeterminazione, l’auto-esplorazione agisce sulla paura: perchè fa paura prendere uno speculum in mano, fa paura aprirlo e infilarselo da sole, fa paura condividere il proprio corpo con altre persone. Ma fa molta più paura ritrovarsi da sola, nella freddezza e sterilità, davanti ad uno sconosciuto, non sapendo e non capendo.
Lo speculum non è uno strumento simpatico: freddo, meccanico, con quel suo becco troppo aguzzo e le linee poco morbide. Ma quando siamo noi a prenderlo in mano, tutto cambia, persino la posizione del nostro corpo, la prospettiva da cui guardare. Noi che siamo sempre stese su un lettino a guardare il soffitto, perchè ci hanno rese cieche. Ma se prendiamo uno speculum in mano gli occhi li dobbiamo aprire, e tutto il corpo si curva con la delicatezza di un cerchio verso la nostra vagina.
Sicuramente non possiamo assumere la stessa posizione, dobbiamo sederci, aprire le nostre gambe con consapevolezza e sapere esattamente cosa stiamo cercando.
Quante sanno dove sia la propria cervice, in che posizione si trovi? Non sappiamo nemmeno cosa sia la cervice, come sia fatta, che forma abbia. Se inserite un dito la potete sentire simile ad una pallina. E’ la porta per il nostro utero, la barriera di protezione.
La sua posizione cambia in base al periodo del ciclo, può essere più alta o più bassa (di solito in concomitanza del ciclo scende molto). Se il nostro utero è retroverso, la sua fessurina sarà verso l’alto. Se stiamo ovulando la fessurina sarà molto aperta.
In linguaggio comune la cervice è anche chiamata collo dell’utero, ed infatti è il punto di giunzione tra l’utero e la vagina. La parte che riusciamo a vedere viene chiamata ectocervice da cui si intravede una fessura che comunica con il canale endocervicale.
Sapere questo ci aiuta nel momento di inserimento dello speculum per evitare di farci male girandolo e aprendolo alla ricerca della cervice.
Ci sono diversi tipi di speculum, con diverse dimensioni (S, M, L) ad indicare la profondità della cavità vaginale. Quelli in plastica sono di solito monouso mentre quelli in alluminio possono essere sterilizzati con acqua bollente. Considerando che la cervice si sposta, in diverse fasi del ciclo possono essere usate diverse misure (anche se la M è universalmente valida).
Lo speculum si inserisce chiuso con del lubrificante, in posizione laterale (ovvero con l’impugnatura rivolta leggermente a destra o a sinistra invece che in basso) per rendere più facile l’inserimento e poi girarlo una volta dentro, con l’impugnatura verso l’alto (esattamente l’opposto di come fa il ginecologo). In questo modo si può orientare la bocca dello speculum verso la propria cervice. Una volta posizionato si apre, un grado alla volta.
A questo punto, con l’aiuto di uno specchio si potrà vedere lo stato della propria cervice o fare il test dell’aceto per esempio. Se non si riesce immediatamente a vederla, un trucchetto è quello di identificare dell’eventuale muco (che è naturale avere) e orientarsi verso di esso che uscirà sempre dalla fessurina.
La pratica medica ci disconnette sensorialmente dal nostro corpo. Per esempio il tatto: non siamo più abituate a toccarci e a notare come il nostro corpo cambia. Una storia abbastanza comune: una ragazza che scopre di avere un nodulo al seno perchè il suo ragazzo lo sente al tatto, più abituato di lei a toccarla. O l’olfatto, nel caso di alcune infezioni che hanno un odore specifico che ci può mettere in allarme e sapere come curarle. Il gusto è quasi inesistente per quanto riguarda i nostri fluidi, infatti noi non sappiamo nulla della loro acidità.
Perchè non abbiamo mai visto la mia cervice? Perchè non abbiamo mai chiesto ad un ginecologo di mostrarcela? Perchè non ci siamo mai domandate come si chiamassero le varie parti dei nostri genitali, il loro funzionamento, il loro posizionamento?
Come se fosse naturale non porsele certe domande. Come se fossero delegate ad altri. Come se avessimo delegato quelle stesse parti del nostro corpo ad altri.
Vedere la propria cervice è potentissimo: vedere quella parte di noi, sapere di essere in grado di poterla vedere e avere tutti gli strumenti per poterla comprendere ci fa sentire in pace, finalmente, con quei momento delle nostre vita che sono stati traumatici e che ci hanno terrorizzate e infantilizzate. E’ come ricevere una parte di noi che ci è stata tolta.
Come scrive Mona Chollet nel suo libro “Streghe” (pg. 186, libro consigliatissimo), “la medicina è stata il palcoscenico su cui si è giocata la guerra della scienza moderna contro le donne”. Sicuramente molte cose sono cambiate nel corso della storia e ovviamente non tutti i medici agiscono con questo intento al giorno d’oggi. Fatta questa premessa importante, è necessario però rimanere vigili rispetto alle diverse forme con cui il dominio, il controllo e la violenza agiscono sui corpi (e non solo) delle persone. Nei confronti della medicina, ed in particolar modo della ginecologia, c’è ancora molto che è possibile fare e su cui vale la pena riflettere.
Autoesplorarsi è quella pratica individuale e collettiva che ci avvicina in modo definitivo alla possibilità di autodeterminarci ed essere autonome.