Gynepunk come lotta per i corpi – Quimera Rosa

Nello scorso articolo abbiamo parlato di Mary Maggic come parte del movimento ampio che noi definiamo come Gynepunk o meglio come quella lotta politica che ragiona sui corpi decolonizzati che vengono liberati tramite la riappropriazione di conoscenze e strumenti propri della ginecologia.

Le seconde streghe di cui vogliamo parlarvi sono il collettivo Quimera Rosa.

Quimera Rosa è un collettivo nomade che porta avanti un laboratorio di ricerca e sperimentazione su corpo, tecnologia e identità. Il loro obiettivo è sviluppare pratiche in grado di produrre identità cyborg non naturali da una prospettiva transdisciplinare. Assumono la nozione di cyborg di Donna Haraway, che la definisce come: “chimere, ibridi teorizzati e fabbricati di macchina e organismo”. Il loro lavoro si basa sulla decostruzione del sesso e delle identità di genere, nonché sull’interazione corpo/macchina/ambiente. 
Fanno performance, performance basate sul’ibridazione, opere sperimentali, mutevoli, che vanno ad abbattere le frontiere tra naturale/artificiale, normale/anormale, maschile/femminile, etero/omo, umano/animale, animale/pianta, arte/ politica, arte/scienza, realtà/finzione…
Quindi l’identità e la sessualità sono concepite come una creazione tecnologica e artistica.
Uno dei progetti principali è TRANS*PLANTprogetto transdiscipinale, basato sulla ricerca biomedica, biohacking (pratica basata sulla biologia DIY rendendo disponibili strumenti e saperi accessibili a tutte le persone) che prende forma attraverso queste performance. Progetto avviato da Quimera Rosa nel 2016, che utilizza sistemi viventi e si basa sull’auto-sperimentazione: è un processo che prevede una transizione “persona > pianta” in vari format. Il progetto contrappone discipline come arti, filosofia, biologia, ecologia, fisica, botanica, medicina, infermieristica, farmacologia ed elettronica.
E’ suddiviso in quattro moduli: 
Open the Moleculeè una ricerca che sperimenta vari trattamenti con la clorofilla, dai tatuaggi a iniezioni endovenose. questo perchè è riconosciuto che la clorofilla abbia degli effetti benefici specilamente per la cura di vari tipi di tumore della pelle e in particolare dei condilomi provocati dall’HPV.  La performance nella galleria Kapelica si basa su una trasfusione di clorofilla per via endovenosa. È concepito come un rituale collettivo che cristallizza il processo prima e dopo di esso. Una iniezione endovenosa, che attraverso le paure, le fantasie ed i giudizi che genera, apre il dibattito sul sistema identitario. Il processo di auto-sperimentazione non è un processo individuale, dal momento che le persone che accompagnano la persona che riceve la flebo endovenosa stanno transitando con lei.  Al di là di questi percorsi specifici, sono le norme sociali ad essere messe in discussione. Ottenere una molecola pura di clorofilla è difficile quanto ottenere testosterone dall’industria farmaceutica e biomedica o dal sistema legale e sanitario. Tutta la vita è brevettata.”
Open the Identity : Ma perché avviare un processo di transizione persona-pianta-macchina impiantando un chip RFID per mettere in discussione la pratica dell’identità e della psichiatrizzazione nella transizione?  E non sono sicuro di voler essere una cavia per gli psichiatri che vogliono verificare se mi sento come una pianta intrappolata in un corpo umano e far inventare loro un disturbo da disforia (del regno, tradotto cosi ma bu non so come rendere meglio), o se la mia volontà fotosintetica non è una manifestazione estrema di un’anoressia repressa, o se la mia ammirazione per il silenzio vegetale è l’evidenza di una tendenza connivente e asociale. Essere riconosciuti dai dispositivi RFID è quindi il primo passo per essere riconosciuti dagli esseri umani nel mio processo di transizione. Un nuovo documento di identità è stato impiantato nel mio corpo e ne controllo i dati. Ma è soprattutto che sembra che per diventare una pianta sia necessario discendere passo dopo passo la piramide biologica, il grande circo della gerarchia delle diverse forme di vita.“, 
Open the Pill: se il corpo è definito come malato, o viene preso in considerazione solo quando esce da una norma allora è giunta l’ora di riappropriarsene, di acquisire gli strumenti di cura, manipolazione e modificazione.attraverso la pratica della sperimentazione su se stess*, autogestita, costruendo conoscenza, attraversando le frontiere tra user/expert.per creare una conoscenza che rompa i tabù in relazione al corpo malatoConsiderando che un corpo è sempre un corpo malato e la malattia come inerente alla vita, possiamo usare la malattia come strumento creativo per decostruire i processi normalizzanti prodotti attraverso la nozione di corpo sano.
Lo scopo è quello di replicare e rendere accessibile la conoscenza, aprire la scatola nera nel linguaggio hacker, o open the pill, nel linguaggio dell’attivismo x l’aids.
Open the codel’installazione permette di entrare nell’universo di Q.R*3 in modo multisensoriale. La micorrizia è ancora viva e, alla presenza del pubblico umano, comunica per diffusione di molecole volatili. La parte centrale dell’opera è un ecosistema costituito da piante, micorrizie (ovvero le radici dei funghi), sensori e oli vegetali essenziali. Quando il pubblico si avvicina all’ecosistema, i sensori attivano i dispositivi che espellono gli oli, che cadono sulle piastre riscaldanti, diffondendo il loro odore sotto forma di molecole volatili all’interno dell’installazione.
Me enfermedad es una creación artistica
Il loro sito
Il documentario sul loro lavoro